NAPOLI Progetto Europa



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Questo documento è stato redatto nell'ottobre del 1994, all'atto della costituzione della Associazione. Risente quindi del tempo trascorso ma ci sembra ancora attuale nei principi generali che ispirano la nostra Associazione pur nel mutato scenario della condizione politica e sociale del Paese

testo documento1Solo chi è sicuro di non spezzarsi se il mondo,
dal suo punto di vista,
è troppo stupido o volgare per quello che gli vuole offrire,
solo chi di fronte a tutto ciò
è capace di dire "eppure",
solo costui ha la "vocazione" per la politica.
Max Weber, 1918


Il ventesimo secolo s'avvia al termine e con esso tramontano simboli su cui tanta parte del mondo ha fondato la propria storia. Si conclude un'epoca segnata dalla guerra fredda tra Est e Ovest, da sanguinosi conflitti e dal disaccordo internazionale su modalità e strumenti con cui mantenere la pace. La fragilità delle relazioni politiche tra gli Stati e al loro interno ne costituisce la difficile eredità, mentre nuove domande su un nuovo ordine mondiale già attendono risposta.

NEL NOSTRO PAESE

Se fino a ieri i partiti hanno rappresentato la forma storica dell'autogoverno della società e il fondamento della democrazia parlamentare, oggi questo modello risulta in crisi ed è difficile prevedere quale futuro possa esserci per la forma partito che abbiamo conosciuto. Tangentopoli e il terremoto politico e istituzionale che ne è seguito sono stati gli ultimi atti di un sistema di governo, la cui delegittimazione si era già consumata con l'occupazione dello Stato da parte di un ceto politico corrotto, con la crisi di tutte le tradizionali forme di partecipazione politica, con il continuo ricorso alle urne e allo strumento referendario. L'iniziativa del potere giudiziario improntata ad un legittimo e necessario controllo di legalità sui pubblici poteri, non deve, però, tendere, in un campo lasciato tragicamente vuoto dalla politica, ad andare oltre quello stesso ruolo di innovazione che le eccezionali vicende degli ultimi anni le avevano attribuito. Peraltro, la 'questione giustizia', sempre più centrale nell'intera vicenda politica, presenta aspetti complessi tali da non tollerare la riduzione a mere logiche di schieramento. Appare indispensabile in democrazia la consapevole e intransigente difesa dei principi di indipendenza e autonomia della Magistratura dai ripetuti attacchi delegittimanti di un esecutivo insofferente alle regole dello stato di diritto, ma il suo ruolo non deve trasformarsi in un potere a sua volta privo di regole e controlli democratici.

Ciò che emerge in questa fase è un aspro scontro di poteri dai contorni ambigui e per certi versi inquietanti. Le elezioni politiche del marzo 1994 non hanno certamente concluso la transizione verso nuovi equilibri politici e assetti istituzionali definiti. Il Parlamento, nonostante l'apparente ricambio di personale politico, non ha acquistato né maggiore credibilità né piena sovranità . Anche il ruolo di supplenza politica assunto dai media rischia oggi di essere inglobato in un sistema politico-affaristico da un Presidente del consiglio che è diventato tale per essere stato il più potente padrone di televisioni private. Infatti, il problema del conflitto di interessi si configura come problema strutturale dell'avvento del governo Berlusconi, le cui diverse 'anime' generano un'azione di governo tesa alla destabilizzazione permanente e aprono la strada al dilagare di interessi forti, allo spegnimento della tradizionale mediazione politica e a forme di democrazia plebiscitaria.

Il tipo di interessi che questa maggioranza vuole rappresentare è estranea a ogni idea di bene comune.

Ad una crisi così profonda della struttura politico-sociale del Paese corrisponde una crisi altrettanto grave del territorio e dell'ambiente. Oggi siamo costretti a pagare prezzi altissimi, in termini di malessere individuale e collettivo, a causa dell'inquinamento, del degrado degli spazi urbani e del patrimonio naturale, monumentale, edilizio. Inquinamento e degrado sono entrambi riconducibili allo squilibrio di fondo cui, nella generale perversione della vita politica e sociale di questi ultimi anni, molti hanno finito con il rassegnarsi. E' lo squilibrio che deriva da una concezione parassitaria e divorante delle risorse naturali e culturali, saccheggiate come serbatoi di beni senza fondo. La concezione puramente economica del benessere ha portato a trascurare ciecamente e irresponsabilmente i limiti dello sviluppo che sono propri di ogni forma vitale, e dunque anche di un territorio abitato: sovrappopolazione, consumo del suolo, artificializzazione del territorio, consumo energetico, produzione di rifiuti solidi, emissione di scarti liquidi e gassosi. Se si considera, infine, che lo sperpero incontrollato delle risorse è stato attuato con piena colpevolezza per il profitto di pochi e il danno di molti, tutto il processo di dissipazione delle ricchezze materiali e immateriali del territorio, attuato negli ultimi anni, assume una connotazione non solo perversa, ma propriamente criminale.

In questo contesto, avvertiamo l'urgenza di interrogarci sulle caratteristiche di una opposizione adeguata alle necessità. Poiché ci adoperiamo affinché la politica si affermi come azione pubblica a partire da dove si vive e si lavora, non possiamo trascurare la questione di un governo nazionale che impone una politica senza soggetti politici, fatta da pochi leaders sorretti da apparati tecnocratici e demoscopici.

Dopo la sconfitta elettorale dei progressisti non intendiamo, delegando ancora, affidare le nostre ragioni ad analoghe esperienze di schieramento.

La discriminante che assumiamo è quella di costruire coalizioni di tipo diverso che non derivino da somme di sigle, né da accordi di vertice. Oggi è opportuno operare innanzitutto secondo un altro metodo, che scelga e guardi in primo luogo alla società, che si disponga all'ascolto e al confronto delle esperienze dei protagonisti di tante iniziative, per costruire un programma possibile e una nuova classe di governo.

E' necessario lavorare intensamente per creare una forza comune da mettere in campo subito, nel Paese, in Parlamento e, quando sarà necessario anche sul piano elettorale.

LA NUOVA REALTA' NAPOLETANA

In contrasto con la situazione nazionale, la nostra città sta vivendo una nuova stagione di speranza politica. Nella coscienza di molti dei suoi cittadini, Napoli non è più solo un grande corpo malato, degradato e piegato ai poteri forti e/o a quelli appartenenti alla sfera dell'illegalità e del crimine organizzato. Con le elezioni amministrative del dicembre 1993 e l'elezione diretta del Sindaco si è aperto un capitolo nuovo. La recente esperienza, vissuta in occasione del G7, a cui tutti i napoletani hanno idealmente partecipato, testimonia un desiderio di riscatto e una rinnovata speranza di civiltà urbana. La fiducia dei cittadini in se stessi si è risvegliata perché ricambiata dalla fiducia riposta in loro dalle istituzioni cittadine rinnovate.

Contemporaneamente all'avvio di questa maturazione di consapevolezza sociale si verifica, d'altra parte, in questo momento a Napoli la grande occasione storica di riassetto urbanistico e di ridisegno del corpo fisico della città. L'opportunità è offerta dalla dismissione di grandi aree industriali che determina lo svuotamento, peraltro traumatico, di due grosse porzioni di territorio a ridosso dei confini occidentale e orientale della città storica. Le dimensioni che gli interventi urbanistici e di risanamento ambientale possono assumere danno l'opportunità, inimmaginabile fino agli anni scorsi, di gestire le problematiche dell'area metropolitana non più con visioni settoriali e tecnicistiche, ma finalmente con un visione 'ecologica globale'.

Investire in risorse umane, culturali, imprenditoriali e morali della città e dei napoletani, si è già rivelato fecondo. Perché le aspettative di cambiamento e la voglia di partecipazione, non siano mortificate e rese vane, è necessario dare corpo e tradurre in esperienze concrete le molteplici proposte e idee di rinascita.

Se a Napoli si è ridotta la distanza simbolica tra governanti e governati, esiste tuttavia un vuoto di strumenti e canali di comunicazione tra istituzioni e cittadini che rischia di disperdere il bene prezioso della partecipazione, dell'autogoverno e, con ciò, la fonte del radicamento e dell'innovazione democratica.

E' questo il punto più critico e delicato dell'esperienza sociale e politica che stiamo vivendo che ci coinvolge e ci chiama in causa, perché, proprio nello spazio di comunicazione e mediazione tra società e istituzioni, si sono consumate nel passato tutte le degenerazioni dello statalismo assistenzialistico, per conto della partitocrazia affaristica e dei poteri forti e/o criminali. In quell'ambito si è affermata la consuetudine dello scambio del consenso politico ed elettorale dato a quegli uomini che potevano contraccambiare con mance e favori, attraverso l'accesso alla risorsa pubblica. Si è così affermato un clientelismo su larga scala. L'intera economia pubblica, fuori da ogni controllo, ha alimentato l'illegalità di massa e, insieme a questa, una correità generale che consentiva ulteriori favoritismi per pochi, sempre più ricchi e attrezzati a manipolare e garantirsi il consenso. In quello stesso spazio occorre perciò, oggi, produrre il massimo di innovazione, esercitando forme di autorganizzazione e pratiche politiche consapevoli del passato e adeguate al presente.

PERCHE' UNA ASSOCIAZIONE

Napoli Progetto Europa, si presenta alla città come un nuovo attore, un soggetto nuovo che trae la sua forza dalla passione civile di donne e uomini liberamente associati, che mettono in primo piano l'esigenza di "fare società".

Dare vita ad una Associazione è per ciascuno di noi un guadagno di libertà, di confronto, di pratica politica. Attraverso l'impegno in prima persona e l'azione comune, intendiamo affrontare problemi e prospettare risposte concrete sulla base delle necessità e delle priorità che nascono dal confronto di conoscenze ed esperienze sociali, e dalla lettura critica della realtà che ci circonda.

Alcuni di noi considerano oramai superata la fase della militanza in un partito o in un sindacato e insufficiente il solo impegno civile attraverso azioni settoriali in vari campi professionali; altri continuano ad essere impegnati in questi ambiti. Tutti, però, riteniamo necessario operare affinché la specializzazione delle conoscenze, delle competenze e delle diverse esperienze sia ricondotta a un progetto comune, e tutti intendiamo adoperarci perché nascano nuove iniziative che corrispondano al bisogno di partecipazione che anima la società. Riteniamo che la società sia uno spazio politico fondato sui significati più autentici e sulle motivazioni più valide della coscienza morale e riaffermiamo con forza che la necessità gli uni degli altri, e del valore del legame sociale. Ciò è la premessa essenziale di una coscienza pubblica che si affermi nell'interesse del bene comune. Pensiamo che interrogarci su ciò che ci unisce e ciò che ci divide (bisogni, interessi, conoscenze, poteri, aspettative) sia il primo passo per imparare a riconoscersi, per ricostruire il senso dello stare insieme, di una più elevata coscienza civile e di un più robusto radicamento della democrazia e delle sue istituzioni.

E' possibile tradurre le speranze di emancipazione individuale e di rinascita civile e sociale in esperienze che consolidino la coscienza pubblica? E' possibile individuare, a partire dalle nostre esperienze individuali, ciò che attiene all'interesse e al bene comune?

Oggi misuriamo tutti un modo "cattivo" di combattere lo statalismo e le sue degenerazioni. E' quello di pensare che ai guasti dello Stato si possa porre rimedio con la logica dell'interesse privato. Questa è una risposta caldeggiata dai poteri economici forti, che propagandano la razionalità del mercato come unica ancora di salvezza. Le stesse forze pretendono una generale "deregulation" in nome e per conto di enormi interessi in gioco. L'incentivazione all'illegalità insita nella politica dei condoni (edilizio, fiscale, etc.), è quanto mai esemplare di una azione di governo conforme ad un liberismo selvaggio, sprezzante di ogni regola e di ogni rispetto e salvaguardia del bene pubblico, e incapace di interventi strutturali.

Queste posizioni incontrano oggi, purtroppo, un ampio ascolto sia perché sembrano parlare il linguaggio di una modernizzazione possibile, costringendo apparentemente la politica a fare i conti con il vincolo delle risorse disponibili, sia perché enfatizzano, manipolandola, la libertà individuale. Tutto ciò, nonostante questa ricetta di affidamento al mercato e alla sua presunta razionalità contempli costi sociali di ingiustizia e di infelicità molto alti e ampiamente sperimentati. In tal senso l'agenda politica è già piena di temi all'ordine del giorno: privatizzazioni della scuola, della ricerca, della sanità, e della previdenza. Tematiche che hanno già messo in discussione alcuni fondamenti della nostra Costituzione.

Il bisogno di cambiamento e la ricerca di nuove soluzioni non dovrebbero però impedire di rispondere ad alcune semplici domande: la scuola privata, a differenza di quella pubblica, ci ha fin qui salvaguardati dalla compravendita di diplomi? I fondi pensione, attivi da molti anni in altri Paesi, hanno più efficacemente tutelato gli anziani? Le cliniche private hanno dato prova, per il solo fatto di essere private, di eccellenza sanitaria oltre che di efficienza e produttività? Può essere affidata alle leggi del mercato la libertà di insegnamento e di ricerca?

Formazione, sanità, previdenza, sono campi che meritano di essere sottoposti a tutt'altra scommessa di razionalità. Essi sono infatti indicatori di civiltà che configurano l'area del pubblico come ambito di finalità orientate al bene comune. Ma, d'altra parte, i temi dell'occupazione, della salute e dell'ambiente sono anche temi profondamente interdipendenti all'interno di una visione ecologica del vivere associato; è ormai matura consapevolezza che essi possano essere affrontati in modo reale e non illusorio, cioè in modo unitario, solo se sapremo realizzare un mutamento profondo delle idee e dei modi del vivere collettivo.

Questa scommessa ha per Napoli molte implicazioni e può trovare molte applicazioni.

Affermare una diversa coscienza pubblica è quanto già si è fatto, grazie all'opera di associazioni, movimenti, diverse istituzioni cittadine nel campo dei beni ambientali, paesaggistici, culturali e attraverso l'azione del volontariato nella lotta all'esclusione e all'emarginazione sociale.

Molti altri sviluppi si possono progettare in questi e in altri campi. Una prima sfida è quella rappresentata dalla costruzione di occasioni di lavoro e dal sostegno all'autoproduzione di reddito, nella legalità, in una città che insieme a tante bellezze ha il primato della disoccupazione, della sottoccupazione e del lavoro nero e illegale. Altrettanto decisiva appare la sfida posta dalle periferie di Napoli, in bilico tra regressione brutale dei livelli di socialità e creazione possibile di una nuova civiltà urbana.

Proprio la rilevanza della domanda sociale, di infrastrutture civili culturali e ambientali insoddisfatte, insieme alla dimensione dell'esclusione sociale vecchia e nuova, potrebbe sollecitare nuove esperienze e ponti di solidarietà. Ciò può avvenire, in pratica, attraverso la creazione di una rete di imprese finalizzate a beni di interesse pubblico, dal momento che lo spazio della cooperazione sociale e della diffusione di una economia "no profit" è molto vasto.

In sintesi, la nostra Associazione vuole essere il laboratorio e lo strumento di una azione pubblica per prospettare risposte concrete e soluzioni innovative ai problemi della realtà che ci circonda. Essa è fondata sulla riflessione critica di diverse esperienze, sulla definizione di regole e modi di autogoverno, sulla ricerca di un rapporto collaborativo, e non antitetico, con altri soggetti attivi nella società, movimenti, associazioni, sindacati, partiti, istituzioni. In questo modo intendiamo attivare un meccanismo che restituisca valore ed utilità all'impegno di quanti in prima persona vogliono contribuire a trasformare Napoli in un luogo simbolo di una rinnovata comunità nazionale, città laboratorio di una nuova frontiera europea.

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